Il cuore è un cane senza nome (Italian Edition) by Giuseppe Zucco

autore:Giuseppe Zucco [Giuseppe, Zucco]
La lingua: ita
Format: epub
Amazon: B071W35JPH
editore: minimum fax
pubblicato: 2017-05-25T22:00:00+00:00

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Si fece nera, piccina, poi sparì alle spalle del cane. La casa della ragazza era ormai una lontana ipotesi, e in un attimo ciò che ne restava nell’aria si sgranò, disperdendosi, come le sillabe di una frase tracciata in una lingua morta di cui il cane non reclamò il significato.

Correva. A perdifiato, puntando una direzione qualsiasi, scartò a destra al primo incrocio. Continuò così, sul viale, infilando presto un’altra via. Era una sensazione che non provava da tempo, quella libertà, la libertà di perdersi. Anzi, nella notte che si avverava intorno, e che avvolgeva tutto come un’edera carnosa, lui, il cane, schizzando sull’asfalto, pensò pure di non essere mai stato libero – era dalla più tenera età che gli sbocciavano quelle catene intorno al collo, l’amore era stata solo l’ultima, la più grossa, la più resistente. Certo, un tempo aveva creduto che quel sentimento fosse una chiave – adesso sapeva che si era trattato solo di un lento e lunghissimo concatenarsi di anelli.

I lampioni luccicavano a stento, il cane si avventurò lungo quel tremolare – tra le auto parcheggiate, davanti alle palpebre abbassate delle serrande dei negozi, era l’unica forma in movimento.

Non che quella libertà lo avesse ubriacato al punto da renderlo euforico e spensierato, sapeva benissimo da cosa scappava, cosa sfuggiva, cosa era accaduto alle sue spalle. Solo che adesso, il cane, per la prima volta, era assalito da una disperazione fredda, oggettiva, che gli impediva di vedere il mondo diverso da com’era. In fondo, pensò il cane, era impossibile redimere il mondo, redimere se stesso. Doveva solo accettare tutto quanto, non c’era altra soluzione.

La strada era solcata dai binari di un tram, e quando ne ebbe a sufficienza di quei bagliori improvvisi, piegò a sinistra. I semafori facevano quei colori, si scioglievano in brevi scie gialle, rosse, verdi, ma non influirono sull’andatura del cane, né gli dettarono altro ritmo. Oltre alla libertà di perdersi, anche quella era una sensazione nuova, o perlomeno riscoperta – la costanza. Come la sua andatura, anche gli accadimenti e l’umore, gli stati d’animo, il modo di esperire e attraversare il mondo, potevano tendere a una qualche forma di regolarità, una durata che non prevedeva scossoni o continui rivolgimenti. Con lei, dal primo istante, era stato un su e giù, una salita e una discesa, un paesaggio ripetutamente agitato da picchi e depressioni. Non che auspicasse un orizzonte da cardiogramma piatto, pensò il cane. Tuttavia, prima di concimare della sua carcassa un qualsiasi terreno, era sua ambizione scovare quelle bestioline cieche, la monotonia e il torpore, assestando poi il suo corpo nella loro tana, una tana calda e soffice, la trama di una quotidianità fitta ma prevedibile. Per questo infilò una strada, poi un’altra, un’altra ancora, dilatando vertiginosamente tutta quella distanza.

Un autobus vuoto gli si fece contro, il cane prese il marciapiede. Al primo incrocio, riguadagnò l’asfalto, aggirò le grate di un tombino, e filò a caso, alternando un grande viale alberato a un vicolo fetido e striminzito. Ma poi, com’era l’asfalto? Per la prima volta ne registrò la natura.

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